Oggi 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza. In Italia si celebra dal 2000, ma è nata a Tokyo nel 1997 in seno al movimento World Kindness Movement, una coalizione di ONG per la gentilezza delle nazioni, attiva anche a promuovere – indovinate un po’ – alcuni tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile della Nazioni Unite (vedi alla voce Agenda 2030).
L’obiettivo di oggi è quello di ricordarci di quanto non solo sia importante essere gentili, ma anche di quanto ci faccia bene. E questo vale nei confronti di noi stessi, del prossimo e dell’ambiente.
Ed è, infatti, da qui che partiamo: gentilezza e sostenibilità.

Per spiegare il legame tra questi due mondi seguirò il percorso a tappe delineato da Piero Ferrucci nel suo libro “La forza della gentilezza”. Il filosofo e psicoterapeuta si avvale di studi scientifici della moderna psicologia, riflessioni filosofiche e tradizioni buddhiste millenarie, per svelarci come la gentilezza, per dirlo con le parole del Dalai Lama – che ha scritto la prefazione – sia “l’origine, la fonte in cui fluiscono tante qualità positive come la sincerità, il perdono, la pazienza, la generosità.”
Può sembrare un legame sui generis quello tra gentilezza e sostenibilità, ma in realtà: “La gentilezza è cruciale nel rapporto con l’ambiente in cui viviamo. Perchè, se non rispettiamo la nostra Madre Terra, se non amiamo la natura, se non ci decidiamo a trattarla con amorevolezza e la meraviglia che essa merita, finiremo intossicati dai nostri stessi veleni.”
Questa frase ha dato il LA alla mia riflessione.
Iniziamo.
INNOCUITÀ
L’innocuità è la capacità di non nuocere. Dici poco. Ferrucci parte in salita. L’innocuità sta alla base della gentilezza e della sostenibilità. Non nuocere è la legge suprema, è il ahimsa paramo dharma fatto proprio da Gandhi.
Richiede uno sforzo straordinario e chiama a raccolta altre qualità come consapevolezza, intelligenza, padronanza di sè e bontà d’animo: “È un atteggiamento vigile e attivo: esige un intenso lavoro di attenzione e di autoregolazione”.
E se pensiamo che da questo atteggiamento ne tragga vantaggio solo il prossimo non è così. I primi a trarre beneficio dall’innocuità siamo proprio noi che la coltiviamo e pratichiamo.

E come si fa a coltivarla e praticarla? Su un piano pratico si traduce nel non fare male a qualcuno, certo. Ma non basta: “Per sostenere di avere raggiunto la piena innocuità […] bisogna esaminare i propri atti, le proprie scelte, i propri consumi, e vedere quali conseguenze hanno sul resto del mondo”. E qui entriamo in una palude. Procede Ferrucci – e cito tutto il brano perchè è esemplificativo di quella eco-anxiety che viviamo un po’ tutti oggigiorno: “Mangio una bistecca, per esempio. È carne di un animale ucciso in maniera violenta e forse maltrattato e sacrificato per tutta la sua vita. Mangio una banana, e quella banana appartiene a una piantagione dove viene applicato in maniera sistematica lo sfruttamento minorile. Indosso una felpa, ma quella felpa viene prodotta in una fabbrica di un paese lontano, dove gli operai sono oppressi e non hanno rappresentanza sindacale. Guido la mia auto, e così alimento l’inquinamento globale che avrà chissà quali conseguenza.”
Insomma come facciamo noi in un mondo così complesso essere sicuri di non nuocere comprando un pomodoro (a tal proposito mi viene in mente una scena mitica del telefim A good place, che vi consiglio)? Purtroppo siamo in un cul-de-sac: “Il fatto stesso di esistere, di agire, e di consumare, ci mette nella situazione di danneggiare gli altri. No, non si può essere totalmente innocui. Ciò che si può fare, però, è essere coscienti che siamo immersi in una rete di interazioni continue con altri esseri.”
Diventa allora importante una presa di coscienza delle conseguenze del nostro agire, a cominciare dal percepire noi stessi, gli altri, il mondo in maniera differente, ricordandoci che: “Il microcosmo è un macrocosmo: ogni persona è tutti gli altri. Ogni individuo contiene in sè l’umanità intera. Se miglioriamo la sua vita, se riusciamo a farlo sentire meglio, e in più viviamo anche nei suoi ricordi come una luce e un sostegno, questa è già una vittoria, ed è la nostra risposta silenziosa e umile alle sofferenze e ai disagi di questo pianeta.”
ATTENZIONE
Qual è stato il vostro primo passo verso un percorso più sostenibile? Smettere di bere acqua in bottiglia? Non comprare più fast fashion? No, il primo gesto sostenibile che ci accumuna è stato quello di porre più attenzione: alle cose, ai nostri usi, ai nostri consumi, alle persone e così via.
E chi si dichiara negazionista oppure non vede la gravità della situazione in cui vertiamo significa che “semplicemente” non sta affrontando la questione con attenzione.
Scrive infatti Ferrucci: “In fondo si può dire che i problemi ecologici in cui vediamo dibattersi il nostro pianeta sono un risultato della nostra disattenzione. Non abbiamo fatto abbastanza attenzione a quanto ci circonda e alle conseguenze di ciò che stiamo facendo. Una bottiglia di plastica buttata in un prato, i rifiuti gettati via anche se potrebbero essere riciclati, o le colate di cemento che deturpano il paesaggio sono il risultato di una mancanza di attenzione. Basta aprire gli occhi”.

UMILTÀ
Questo lockdown l’ha fatto capire a tanti. Che cosa? L’essere grati di quello che si ha, e anche di arrabattarsi con ciò che si ha. La lontananza dai nostri cari, l’impossibilità di svolgere le nostre attività normalmente, i supermercati senza lievito, ci hanno fatto riscoprire una grande qualità, ormai dimenticata. L’umiltà “ci fa ritrovare il gusto delle cose semplici, e quando si è semplici si è anche genuini. Ci aiuta ad accontentarci di ciò che la vita ci dà. […] Ed è una virtù preziosa in tempi in cui la base stessa dello sviluppo econimico è lo spreco, l’incontentabilità uno stile di vita, e la richiesta ad alta voce di nuovi privilegi un dovere sociale.”
PAZIENZA
In questo capitolo leggiamo che lo studioso buddhista Lama Govinda ha sempre preferito spostarsi in nave, lentamente: un viaggio in aereo gli pareva irreale e brusco. Per spostarsi da casa sua in Himalaya alla Toscana impiegò 5 mesi.
Chi vi ricorda? A me Greta Thunberg che ha fatto la traversata atlantica in barca a vela. Certo non siamo tutti nè Govida nè la Thunberg, non possiamo metterci 5 mesi per fare un viaggio di lavoro o per andare a trovare un amico lontano. “Però è comunque importante tenerlo presente, perchè ci fa capire che esiste un altro modo di vivere”.
MEMORIA
La memoria fa rima con la sovracitata attenzione. Dove c’è l’una c’è l’altra. Quando ci dimentichiamo è perchè non abbiamo fatto attenzione. Il mondo odierno ci porta in tutt’altra direzione: ci lancia continui stimoli, siamo sovraeccitati, non riusciamo veramente a posare lo sguardo sulle cose e sulle persone, ricordandocele: “È il presente del consumismo, in cui dopo aver consumato un prodotto devi subito trovarne uno nuovo. È la mentalità dell’usa e getta. Gli oggetti che non servono più si buttano. Le persone che non ci interessano più si dimenticano.”
CONCLUSIONI
Laddove c’è gentilezza, innocuità, attenzione, umiltà, pazienza e memoria c’è anche sostenibilità. Ferrucci ci dà un esempio concreto, e cioè il beach cleaning: “L’iniziativa di andare a pulire parchi, spiagge e giardini, praticata da vari gruppi in tutto il mondo, è la quintessenza della gentilezza. Non solo perchè è disinteressata, produce un risultato utile, migliora la qualità della vita, rende contenti coloro che la mettono in atto. Ma anche perchè è una caratteristica della gentilezza essere una risposta efficace a una situazione di bisogno o di disagio che è proprio davanti ai nostri occhi. […] Il parco è pieno di rifiuti, e tu lo pulisci.”
Certo non possiamo ripulire il mondo solo con la forza delle nostre braccia e delle nostre convinzioni: “Pazienza. Intanto abbiamo affermato un principio, un modo d’essere.”
Infine ricordiamo brevemente che la sostenibilità è ambientale e sociale, ma anche economica. Come correlare gentilezza, sostenibilità ed economia? Ancora una volta la risposta ce la dà Ferrucci: “Le aziende che sfruttano i lavoratori, degradano l’ambiente, ingannano il consumatore e creano una cultura dello spreco si avvantaggiano magari nel breve periodo, ma alla lunga sono meno competititive di chi invece, nel proprio interesse, rispetta l’ambiente, non si approfitta di chi lavora per viviere, e si mette al servizio dei clienti”.
Ancora una volta il cerchio si chiude.
