PARTE UNO: L’ASPETTO AMBIENTALE E SOCIALE
Con la biologa nutrizionista Chiara Ferrari
Era esattamente un anno fa quando presi la decisione, motivata da diversi fattori, di cambiare la mia alimentazione: da onnivora a quasi del tutto vegetale. Una scelta – maturata dopo diversi mesi di ricerca, studio e visite mediche – che è diventata concreta nel Gennaio 2020, durante il mio primo Veganuary.
Il Veganuary (il termine deriva dall’unione di Vegan e January) è nato in UK nel 2014 con l’intento di invitare le persone a consumare cibi d’origine vegetale per il mese di gennaio. Non è una gara, ma un progetto di sensibilizzazione a uno stile di vita vegan, nel rispetto del nostro ambiente, degli animali e della nostra salute.
Pertanto questo mese troverete ogni Giove(gan)dì un articolo sul mio blog, dove affronteremo insieme ad esperti il tema dell’alimentazione sostenibile sotto più punti di vista: ambientale, sociale, economico, salutare, diritti animali, spirituale e culturale.
Ma prima vediamo schematicamente qualche dato insieme:
- La FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) ha dichiarato che gli allevamenti intensivi producono il 14,5% di CO2, senza contare le emissioni di metano e protossido di azoto
- L’allevamento è inoltre responsabile del 91% della deforestazione amazzonica e il 59% di tutta la terra coltivabile è utilizzata per nutrire il bestiame
- In termini di consumo dell’acqua, per fare un hamburger servono le docce di un mese
- Secondo i calcoli della Lav (Lega Anti Vivisezione) adottando una dieta vegana anche solo per un giorno a settimana nell’arco di un anno, ciascuno di noi potrebbe risparmiare l’equivalente del consumo di una lampadina accesa ininterrottamente per 277 giorni
- La metà dei rifiuti di plastica in mare è da ricondursi alle reti di pesca
- Tuttavia, la dieta vegana potrebbe lasciare troppe risorse inutilizzate e quindi non tutto il 59% dei territori di cui parlavo sopra può essere riconvertito come vogliamo per coltivare quello che vogliamo*
La connessione tra il sistema alimentare e il cambiamento climatico è però a doppio senso: le nostre scelte alimentari condizionano il nostro impatto sul pianeta. E, allo stesso tempo, la crisi climatica influisce, ed influirà sempre più, sulla disponibilità e sull’accesso al cibo.
Con la biologa nutrizionista Chiara Ferrari partiremo proprio da qui per affrontare il tema dell’alimentazione prevalentemente vegetale da un punto di vista ambientale e sociale.

Buongiorno Chiara, benvenuta. Come hai evidenziato in una puntata del tuo podcast Nutri-Ecopodcast, nel 2011 la FAO ha fornito la definizione di dieta sostenibile, cioè a basso impatto ambientale. Qual è la dieta a tutti gli effetti più sostenibile dal punto di vista ambientale e perchè?
Chiara: Buongiorno Federica, grazie per l’invito.
Sì esatto, nel 2011 la FAO ha dato la definizione di dieta sostenibile affrontando il concetto di sostenibilità da più punti di vista, secondo la FAO «Le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale, nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane».
La dieta sostenibile è quindi qualcosa che sì, presta attenzione alla salute nostra e del pianeta su cui viviamo, ma anche alla situazione sociale ed economica della popolazione mondiale. Diete sostenibili sono diete che non favoriscono lo sfruttamento dei lavoratori e che garantiscono loro uno stipendio adeguato. Diete sostenibili prevedono alimenti che siano accessibili dal punto di vista economico: tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 c’è infatti quello di ridurre la fame nel mondo.

Venendo alla domanda che mi hai fatto, sono contenta di risponderti che per fortuna non esiste una sola dieta sostenibile. Tra le diete sostenibili troviamo la vegetariana e la vegana, dove i principali alimenti sono quelli di origine vegetale, nella vegetariana troviamo anche alimenti di origine animale che sono a più ridotto impatto. L’idea è che riferendosi a queste due diete, non si includano i prodotti altamente processati, o meglio, li si includa ma con una frequenza di consumo fortemente ridotta.
Mi sento comunque di dire, anche leggendo gli studi, che una dieta mediterranea originale, dove il consumo di carne è decisamente ridotto, può rientrare tra le diete sostenibili, perchè si basa su frutta e verdura, su legumi e cereali integrali, frutta secca e semi. In una dieta mediterranea originale, gli alimenti di origine animale hanno una frequenza di consumo molto ridotta. Ci tengo a far presente questo aspetto perchè quando si parla di sostenibilità si parla anche di inclusione e quindi è bene che ognuno si senta di poter fare la propria parte, anche chi per il momento non vuole spingersi verso diete vegetariane.
Molto spesso si parla del km Zero e del biologico come le alternative sostenibili per eccellenza. È davvero così? Quali sono gli altri importanti fattori da tenere in considerazione?
C: Questo è un aspetto su cui mi capita spesso di discutere. Partiamo dal km zero. La distanza percorsa non è l’unico fattore, o il fattore più importante, da considerare quando si valuta l’impatto di un alimento. Per fare un esempio: io posso anche acquistare dal contadino dietro casa, ma se questo ha distribuito centinaia di serre per coltivarci fragole e pomodori a dicembre, il problema non sono più i chilometri percorsi, ma l’energia impiegata per mantenere la temperatura adatta nelle serre e far sì che la frutta e la verdura crescano. Soffermarci solo su quanti chilometri sono stati percorsi potrebbe portare a semplificare troppo un concetto che semplice non è. Oltre alla distanza bisogna tener conto dell’uso del suolo, dell’energia utilizzata, della quantità di acqua impiegata, se poi vogliamo parlare di sostenibilità a 360°, bisogna valutare anche lo stato dei lavoratori, ecc… .

Per quanto riguarda il biologico, anche qui bisogna aprire un po’ gli occhi ed essere critici. Molto spesso mi capita di parlare con persone che nel biologico riversano ogni speranza. Bisogna però rendersi conto che ormai il biologico non è più il movimento nato per riconnetterci con la terra e che si batteva contro gli agrofarmaci. Oggi il biologico è un’industria che conta, solo in Italia, 2 milioni di ettari di terra e circa 60 mila aziende che producono solamente biologico (dati SINAB 2019). Questo non deve farci pensare che allora “anche il biologico è cattivo”, semplicemente credo sia necessario fare pace con il fatto che su questo pianeta siamo molto numerosi e per dar da mangiare a tutti l’industria deve aver garantite delle rese. La resa del biologico è molto inferiore rispetto all’agricoltura convenzionale per via del fatto che deve utilizzare solo un certo tipo di agrofarmaci. Questo ahimè non è sostenibile, perchè viene richiesto un maggior impiego di suolo per aumentare la resa delle coltivazioni.
Quello che voglio dire è che dobbiamo ridimensionare un po’ i nostri sogni: non dobbiamo pensare al biologico come un porto sicuro a cui affidarci, senza più pensare con la nostra testa. Bisogna comunque essere critici e riflettere sempre sulle scelte che facciamo, perchè molto spesso le cose sono più complicate di come ci sembrano.
Rovesciando la medaglia, in che modo il cambiamento climatico impatta sul sistema alimentare? Ci potresti fare qualche esempio?
C: Certo! Credo che capire in che modo il cambiamento climatico abbia un impatto su di noi, più direttamente di quanto non si pensi, possa essere utile per comprendere la situazione.
Il cambiamento climatico porta con sè un aumento della temperatura, una variazione della frequenza e dell’intensità delle piogge, l’aumento del livello del mare, un aumento delle concentrazione dei gas climalteranti, tutte cose che sembrano apparentemente lontane da noi. Questi stessi effetti però gravano sul nostro sistema alimentare, rendendo il nostro cibo meno sicuro sia dal punto di vista della sua salubrità (ad esempio può divenire più facilmente attaccabile da altri organismi durante il periodo di stoccaggio) sia dal punto di vista della sicurezza di avere cibo da mangiare: gli stessi, o altri, organismi possono attaccare le coltivazioni, le stesse coltivazioni possono rendere meno per via di eventi atmosferici particolarmente intensi, ecc… .
Diamo ormai per scontato di avere a disposizione il cibo in dispensa, in frigorifero, al supermercato, addirittura in eccesso, ma il cambiamento climatico agisce anche sul nostro sistema di produzione degli alimenti, qualcosa che non è affatto lontano da noi.
Recentemente ho visto un tuo post su Instagram intitolato “Il costo del cibo”. Parlando dell’aspetto sociale della sostenibilità alimentare, qual è il legame tra cibo e filiera di produzione? Quando un prodotto alimentare si può considerare sostenibile ed etico allo stesso tempo?
C: Credo sia importante essere consci del fatto che la vita di un alimento non inizia quando lo acquistiamo, ma molto prima e il nostro acquisto non è una semplice azione automatica ma una scelta che noi facciamo. È importante quindi che questa scelta sia fatta in modo consapevole. Quello che facciamo quando acquistiamo è esercitare il nostro potere d’acquisto, esso influenza l’andamento del mercato. Come consumatori infatti abbiamo la fortuna di poter determinare quali prodotti far finire sugli scaffali. Certo questo prevede un aumento della domanda di una certa tipologia di alimenti: sostenibili e rispettosi delle condizioni di lavoro.
Conoscere tutti gli aspetti della filiera di un prodotto non è facile, ma si può decidere di approfondire il viaggio che il prodotto alimentare fa prima di arrivare a noi. Richiede tempo. Di sicuro la legislazione in ambito di sicurezza alimentare consente di risalire al percorso fatto dal prodotto e dubbi dal punto di vista della sua sicurezza non ce ne devono mai essere: se un prodotto è in vendita è sicuro.
Tutto quello che riguarda il trattamento riservato ai dipendenti e quindi l’aspetto più sociale non sempre è noto, può essere utile rifarsi alle certificazioni che tutelano la sicurezza e la salute dei lavoratori (ISO 45001).

Ti faccio un’ultima domanda, un po’ spinosa. Ultimamente fioccano prodotti alimentari con pack che gridano al green o al bio, senza questo o senza quello, 100% naturale etc. Quanto di tutto questo è green washing secondo te?
C: Senza dubbio le aziende si sono accorte di quanto le persone si stiano sempre più interessando all’impatto ambientale dei prodotti che acquistano, parlo di prodotti perchè ormai non si tratta solo del packaging del cibo ma anche di tutta una serie di altri prodotti, dalla cura per il corpo alla cura per la casa, ai prodotti per gli animali e chi più ne ha più ne metta.
Non voglio generalizzare troppo, ma dal punto di vista estetico un prodotto etichettato come sostenibile ha un imballaggio riconoscibile: carta riciclata, colore verde qua e là, tutto quello che serve per renderlo semplice e “più rispettoso verso l’ambiente”.
Ed è proprio su questi aspetti che voglio soffermarmi, è un po’ come quello che dicevamo prima sul biologico: non bisogna fermarsi alle apparenze, ma andare oltre.
Il packaging è verde quindi mi ricorda la natura, benissimo, allora approfondiamo! L’approfondimento serve per capire se è davvero un’azione di greenwashing, quindi se è un tentativo dell’azienda di travestire qualcosa in sostenibile, anche se di fatto non lo è, o se effettivamente abbiamo tra le mani un prodotto di un’azienda lungimirante che ha deciso davvero di operare nel rispetto dell’ambiente per quanto le è possibile. Quindi l’approfondimento è qualcosa che va, in ogni caso, a nostro vantaggio: ci consente di scoprire qualcosa di vantaggioso o di riconoscere chi non è a tutti gli effetti onesto.
Questo vale poi anche per il 100% naturale e per i prodotti “senza”. Da questo punto di vista con il greenwashing centrano poco, ma il collegamento diretto con l’idea che “allora è sano perchè è senza…” è un po’ lo stesso meccanismo. In un momento storico in cui si va veloci e non si ha più il tempo di fare niente, consolidare degli automatismi che ci portano a riconoscere immediatamente un prodotto tramite il colore e il materiale del suo imballaggio, ci consente di ottimizzare i tempi a costo di cosa però? Di scelte meno consapevoli.
Grazie mille Chiara per la disponibilità.
Come abbiamo visto, quando si parla di sostenibilità alimentare occorre tener conto di moltissimi aspetti, a volte controversi.
L’invito è quello di intraprendere il proprio percorso, ognuno con modi e tempi differenti, con un po’ più di consapevolezza e con la curiosità di chiedere, approfondire e di domandarsi in che modo le nostre abitudini alimentari possono impattare sul nostro pianeta e sulla comunità. E viceversa.
Ci vediamo giove(gan)dì prossimo! Chi indovina di cosa parleremo?

BIO CHIARA FERRARI
Biologa nutrizionista iscritta all’albo dei biologi. Dopo un’esperienza di due anni come nutrizionista e ricercatrice in ospedale, decide di dedicarsi alla libera professione e di riprendere gli studi, attualmente è iscritta al terzo anno della Scuola di Specializzazione in Scienze dell’Alimentazione. Collabora con tre studi collocati a Crema, Lodi e Monza. Aiuta a migliorare le proprie abitudini alimentari, utilizza la dieta come uno strumento e la consiglia solo se realmente necessaria. Si occupa di alimentazione per adulti e bambini e nelle varie fasi di vita della donna, segue anche chi decide di intraprendere un cambio di alimentazione e sceglie di affacciarsi alle alimentazioni vegetariane. Ha un sito www.nutrizionistachiaraferrari.com e parla di alimentazione e sostenibilità sul suo profilo Instagram @chiaraferrari.nutrizionista.
NOTE
*Si tratta dello studio Carrying capacity of U.S. agricultural land: Ten diet scenarios*, che analizza 10 diete diverse e arriva alla conclusione che eliminare completamente i prodotti d’origine animale non sia il modo migliore per sfruttare i terreni in modo sostenibile. Secondo questo studio le diete maggiormente sostenibili sarebbero quelle vegetariane, con le latto-vegetariane al primo posto. Qui potete scaricare il paper originale.